Il filò

Il termine Filò deriva da “filare”, cioè dal lavoro particolare che le donne andavano a fare d’inverno nelle stalle. Ci si riuniva durante la stagione più fredda perché una volta non c’era il riscaldamento nelle case, fintantoché funzionava il fuoco per preparare la cena, si poteva anche resistere, ma quando esso si spegneva, nelle case cominciava ad esserci tanto freddo. Allora dopo cena, la gente si rifugiava nelle stalle al caldo. Nella stalla si radunava la contrada, la corte. Ci si riuniva anche per passare il tempo, per recitare il Rosario, per sentir qualche novità del paese o dei dintorni, per far piccoli lavori a mano, per parlare e per… sparlare. Le donne che andavano a “filò” di solito si portavano dietro qualcosa da fare: la milinèla per filare la lana, aghi e filo per ponciàr, ferri da calze o da maglie. Le giovani donne, se erano da marito, procuravano di mettersi a posto la dota; gli uomini più anziani, andavano a sdraiarsi nel fenàr; quelli più giovani badavano ad aggiustare attrezzi da lavoro o a fabbricar qualche arnese utile per la casa e per la stalla. Poi c’ era il “competente” in “lettura” che leggeva a puntate qualche libro famoso, quasi sempre all’indice oppure raccontava fatti accaduti o sentiti narrare da altri, spesso stravolgendone i contenuti. Il “filò”, per quei tempi, fu l’unico canale di trasmissione e di diffusione di cultura; ma sempre di una forma di cultura che, altrimenti, sarebbe andata perduta. La tradizione del filò dura da secoli. Infatti in un’inchiesta agli albori dell’Ottocento, portata a termine dalla Prefettura di Verona sulla situazione economica, sociale e morale della popolazione veronese, si trova registrata anche l’usanza del “far filò” nelle stalle.